DEPURATORI DELLE ACQUE E POLEMICHE STRUMENTALI. UN PROBLEMA NAZIONALE, NON LOCALE

Come si butta via l’acqua. Lo spreco di una risorsa naturale essenziale per la vita e lo sviluppo economico.

Diritto alla salute o idolatria naturista? Politica malsana o interessi economici? Disatteso fabbisogno di acqua o inquinamento delle acque superficiali? Tutto questo parlame coinvolge tutti i cittadini, mentre la magistratura sta a guardare…..

«Per secoli si sono sversate in falda sotterranea o nei canali di scolo le acque reflue di origine urbana, quando esse non erano riutilizzate. La natura auto depurava l’insano liquido. Poi con l’industrializzazione sono nati i problemi di inquinamento delle risorse idriche. E sono nati i depuratori ed il business del trattamento delle acque reflue. Oggi è una vergogna solo starne a parlare. Scegliere tra il riuso e lo spreco o l’inquinamento? Solo i mentecatti possono decidere di buttare a mare o in falda una risorsa naturale limitata! Solo i criminali scelgono di inquinare l’ambiente e impedire lo sviluppo economico!»

Questo denuncia il dr Antonio Giangrande, presidente della “Associazione Contro Tutte le Mafie” ed autore del libro “Ambientopoli” pubblicato su Amazon.

Si definisce trattamento delle acque reflue (o depurazione delle acque reflue) il processo di rimozione dei contaminanti da un’acqua reflua di origine urbana o industriale, ovvero di un effluente che è stato contaminato da inquinanti organici e/o inorganici. Le acque reflue non possono essere reimmesse nell’ambiente tal quali poiché i recapiti finali come il terreno, il mare, i fiumi ed i laghi non sono in grado di ricevere una quantità di sostanze inquinanti superiore alla propria capacità autodepurativa. Il trattamento di depurazione dei liquami urbani consiste in una successione di più fasi (o processi) durante i quali, dall’acqua reflua vengono rimosse le sostanze indesiderate, che vengono concentrate sotto forma di fanghi, dando luogo ad un effluente finale di qualità tale da risultare compatibile con la capacità autodepurativa del corpo ricettore (terreno, lago, fiume o mare mediante condotta sottomarina o in battigia) prescelto per lo sversamento, senza che questo ne possa subire danni (ad esempio dal punto di vista dell’ecosistema ad esso afferente). . Il ciclo depurativo è costituito da una combinazione di più processi di natura chimica, fisica e biologica. I fanghi provenienti dal ciclo di depurazione sono spesso contaminati con sostanze tossiche e pertanto devono subire anch’essi una serie di trattamenti necessari a renderli idonei allo smaltimento ad esempio in discariche speciali o al riutilizzo in agricoltura tal quale o previo compostaggio.

Il problema che ci si pone è: la depurazione è effettivamente eseguita? Le acque reflue depurate dove possono essere reimmesse? In grandi vasche o bacini per il riuso in agricoltura od industria, o smaltite inutilizzate in mare o nei fiumi o direttamente in falda? Quale è la valenza economica per tale decisione? Quale conseguenza ci può essere se la depurazione è dichiarata tale, ma non è invece effettuata?

L’acqua di riuso, costa di più dell’acqua primaria, sotterranea o superficiale, per questo è conveniente smaltire ed inquinare il mare o la falda con le acque che i gestori dicono essere depurate. Affermazioni infondate? No! Peggiora lo stato di salute del nostro mare. Imputato numero uno è la «mala depurazione»: 130 i campioni risultati inquinati dalla presenza di scarichi fognari non depurati – uno ogni 57 km di costa – sul totale delle 263 analisi microbiologiche effettuate dal laboratorio mobile di Goletta Verde, storica campagna di Legambiente, in quest’estate. Un dato in aumento rispetto all’anno precedente,quando era risultato inquinato 1 punto ogni 62km.

Su queste basi ultimamente è salita alla ribalta la presa di posizione con relative proteste di alcune località costiere. La popolazione non vuole lo scarico a mare. Ma come sempre nessuno li ascolta.

Ogni estate la bellezza incontaminata del nostro mare è messa a rischio dalla pessima gestione di depuratori e scarichi a mare da parte di istituzioni e amministrazioni pubbliche. Ed il turismo ne paga le conseguenze. E’ da qualche anno ormai che l’inizio della bella stagione ci pone l’inquietante dubbio di quale sarà il tratto di costa a chiazze marroni che dovremo evitare e, quel che è peggio, leggiamo distrattamente delle proteste del comitato di turno, quasi la cosa non riguardasse tutti noi. La situazione è molto delicata e non mette a rischio solo ambiente e salute, ma anche la possibilità di fare del nostro mare il principale volano di sviluppo del territorio. Le maggiori criticità riguardano i comuni di Manduria, Lizzano, Pulsano e il capoluogo Taranto ed è perciò facile capire come la situazione vada letta nel suo insieme, poiché finisce per riguardare tutta la litoranea orientale.

Oggi in Puglia il servizio di depurazione copre il 77% del fabbisogno totale, secondo i dati forniti dal Servizio di tutela delle acque della Regione e contenuti nel Piano di tutela delle acque. Numeri che evidenziano come poco meno di un milione di cittadini pugliesi scarica i propri reflui senza che questi vengano depurati. Sono 187 i depuratori che coprono il servizio su tutto il territorio regionale, ma su cui insistono ancora problemi di funzionamento, criticità e situazioni irrisolte che in alcuni casi rendono inefficace la depurazione dei reflui. Innanzitutto c’è la questione dei 13 impianti che scaricano in falda, con grave rischio di inquinamento delle acque sotterranee. Poi ci sono i depuratori che presentano problemi nel funzionamento e i cui scarichi risultano non conformi, come certificano i dati Arpa relativi al 2012. La causa di queste anomalie deriva dal cattivo funzionamento degli impianti, causato in alcuni casi anche all’ingresso nei depuratori di reflui particolari (scarti dell’industria casearia o olearia, industriali o un apporto eccessivo di acque di pioggia spesso legate alla incapacità dei tessuti urbani di drenare l’acqua). Un problema che riguarda il 39% degli impianti a livello regionale secondo i dati a disposizione dell’Acquedotto pugliese, ma che in alcune province arriva ad oltre l’80%, come nel caso dei depuratori della BAT. La Puglia, inoltre, come si evince dal dossier Mare Monstrum di Legambiente, è la quarta regione a livello nazionale per numero di illeciti legati all’inquinamento del mare riscontrati, con 261 infrazioni, pari al 10,1% sul totale, 328 fra le persone denunciate e arrestate e 156 sequestri.

Le norme violate sono quelle previste dal Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, Norme in materia ambientale e comunque il reato contestato è il getto pericoloso di cose. Ma non tutte le procure della Repubblica si muovono all’unisono.

Avetrana, Pulsano, Lizzano, Nardò, ecc. Il problema, però, come si evince, non è solo pugliese. Il riuso delle acque nessuno lo vuole. Eppure il fabbisogno di acqua cresce. Recentemente, con la crescita della sensibilità ambientale in tutto il pianeta, il tema del riutilizzo delle acque si sta diffondendo sempre più: anche l’Unione Europea si è spesso occupata di riutilizzo delle acque reflue, ma solo recentemente questo tema è entrato nel Piano di Azione volto ad individuare criteri e priorità per il finanziamento di nuovi progetti nel campo della gestione delle risorse idriche. Il riutilizzo in agricoltura delle acque usate è una pratica diffusa in molti paesi e sempre più spesso raccomandata dagli organismi internazionali che promuovono lo sviluppo sostenibile; tra i paesi che hanno la maggior esperienza nel settore è bene ricordare gli Stati Uniti e lo Stato di Israele.

La vicepresidente e assessore all’Assetto del Territorio della Regione Puglia, Angela Barbanente, ha diffuso questa nota sulla questione della depurazione in Puglia. «La mia opinione è che “la politica si manterrà chiacchierona, rincorrendo ora l’uno ora l’altro contestatore” sino a quando, in questo come in altri campi, mancherà di una visione chiara, condivisa, realizzabile. La visione che occorre perseguire, questa sì senza tentennamenti se si hanno a cuore la salvaguardia e il risanamento dell’ambiente, e quindi la salute dei cittadini, dovrebbe innanzitutto prevedere il massimo possibile riutilizzo delle acque depurate in agricoltura o per usi civili.  Non è ammissibile, infatti, che nella Puglia sitibonda si butti in mare l’acqua depurata mentre nei paesi nordeuropei ricchi di acque superficiali si adottano ordinariamente reti duali per evitare di sprecare la risorsa! Inoltre, ove possibile e specialmente nelle aree turistiche, si dovrebbe fare ricorso a tecnologie di depurazione naturale quali il lagunaggio o la fitodepurazione.»  

Non ha tutti i torti e sentiamo di sposare le sue parole. Nell’ultimo decennio sono state registrate annate particolarmente siccitose con una ridotta disponibilità di risorse idriche tradizionali. Le cause sono dovute in parte ai mutamenti meteo climatici ma anche al crescente peso demografico e turistico, ai maggiori fabbisogni connessi allo sviluppo economico industriale, agricolo (anche se in questi ultimi anni pare affermarsi un’inversione di tendenza complice la crisi economica) e civile. Ciò implica la necessità di avviare cambiamenti radicali nei comportamenti e nelle abitudini di cittadini e aziende finalizzati al risparmio idrico, di reperire nuove fonti di approvvigionamento e al contempo di incentivare in tutte le forme possibili il riuso delle acque depurate. Il riutilizzo delle acque reflue costituisce una fonte di approvvigionamento idrico alternativo ai prelievi da falda, e rappresenta una buona pratica di gestione sostenibile delle acque che consente di fronteggiare lo stato di crisi quali-quantitativa in cui versa la risorsa idrica. Infatti attraverso il riutilizzo si limita il prelievo delle acque sotterranee e superficiali e si riduce la riduzione dell’impatto degli scarichi sui corpi idrici recettori.

Questa lotta di civiltà ci deve coinvolgere tutti, senza tentennamenti ed ipocrisie, fino all’estremo gesto di non votare più i nostri partiti di riferimento con gli amministratori regionali che decidono contro gli interessi della collettività.

E passiamo oltre al fatto che i sindaci ci obbligano a contrarre in termini perentori il servizio di smaltimento delle acque con i gestori locali, che sono anche i gestori dei depuratori. I sindaci si mettono a posto per eventuali screzi legali. I cittadini pagano un oneroso tributo in termini di spese di allaccio e di smaltimento per un servizio che non si sa se e quando si attiverà. Un altro balzello che si dovrebbe invece chiamare “Pizzo”.

Dr Antonio Giangrande

Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia

www.controtuttelemafie.it e www.telewebitalia.eu

099.9708396 – 328.9163996

PUOI TROVARE I LIBRI DI ANTONIO GIANGRANDE SU AMAZON.IT 

DEPURATORI DELLE ACQUE E POLEMICHE STRUMENTALI. UN PROBLEMA NAZIONALE, NON LOCALEultima modifica: 2014-07-15T12:41:49+02:00da rassegna-stampa
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